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Alcuni vogliono paragonarsi a Giobbe ma non ne sono all’altezza

Giobbe era un uomo integro e retto che si interessava di cuore al prossimo. Non era uno spietato, che non si interessava del prossimo e che invece pensava al suo interesse. Anzi lui studiava a fondo la causa dello sconosciuto. Lui piangeva per chi era nell’avversità. La sua anima si angustiava per il povero (non li disprezzava con parole insensate). Il suo piede non è andato dietro alla frode (ricordo che frodare significa anche trarre in inganno, ad esempio si froda facendo credere una realtà agli altri che non corrisponde a come stanno realmente le cose). Giobbe non si rallegrava che le sue ricchezze erano grandi e che la sua mano aveva molto accumulato. Non si rallegrava della sciagura dei suoi nemici e non esultava quando a loro accadeva della sventura (ancora di meno desiderava che su di loro piombasse la sciagura). Giobbe non celava le sue iniquità e non copriva i suoi falli (era umile a ammetteva i propri errori e i propri sbagli).

Purtroppo taluni vogliono paragonarsi a Giobbe mentre non ne sono neanche lontanamente all’altezza.

Considerate BENE l’agire di Giobbe e imparate da lui. Imitatelo, non a parole e non soltanto in qualche cosa, ma in TUTTO; allora potrete pensare di paragonarvi a lui.

“Allorché uscivo per andare alla porta della città e mi facevo preparare il seggio sulla piazza, i giovani, al vedermi, si ritiravano, i vecchi s’alzavano e rimanevano in piedi; i maggiorenti cessavan di parlare e si mettevan la mano sulla bocca; la voce dei capi diventava muta, la lingua s’attaccava al loro palato. L’orecchio che mi udiva, mi diceva beato; l’occhio che mi vedeva mi rendea testimonianza, perché salvavo il misero che gridava aiuto, e l’orfano che non aveva chi lo soccorresse. Scendea su me la benedizione di chi stava per perire, e facevo esultare il cuor della vedova. La giustizia era il mio vestimento ed io il suo; la probità era come il mio mantello e il mio turbante. Ero l’occhio del cieco, il piede dello zoppo; ero il padre de’ poveri, e studiavo a fondo la causa dello sconosciuto. Spezzavo la ganascia all’iniquo, e gli facevo lasciar la preda che avea fra i denti. E dicevo: ‘Morrò nel mio nido, e moltiplicherò i miei giorni come la rena; le mie radici si stenderanno verso l’acque, la rugiada passerà la notte sui miei rami; la mia gloria sempre si rinnoverà, e l’arco rinverdirà nella mia mano’. Gli astanti m’ascoltavano pieni d’aspettazione, si tacevan per udire il mio parere. Quand’avevo parlato, non replicavano; la mia parola scendeva su loro come una rugiada. E m’aspettavan come s’aspetta la pioggia; aprivan larga la bocca come a un acquazzone di primavera. Io sorridevo loro quand’erano sfiduciati; e non potevano oscurar la luce del mio volto. Quando andavo da loro, mi sedevo come capo, ed ero come un re fra le sue schiere, come un consolatore in mezzo agli afflitti.” (Gb 29:7-25)

Ed ancora:

“Non piangevo io forse per chi era nell’avversità? l’anima mia non era ella angustiata per il povero? Speravo il bene, ed è venuto il male; aspettavo la luce, ed è venuta l’oscurità! Le mie viscere bollono e non hanno requie, son venuti per me giorni d’afflizione. Me ne vo tutto annerito, ma non dal sole; mi levo in mezzo alla raunanza, e grido aiuto; son diventato fratello degli sciacalli, compagno degli struzzi. La mia pelle è nera, e cade a pezzi; le mie ossa son calcinate dall’arsura. La mia cetra non dà più che accenti di lutto, e la mia zampogna voce di pianto.

Io avevo stretto un patto con gli occhi miei; come dunque avrei fissati gli sguardi sopra una vergine? Che parte mi avrebbe assegnata Iddio dall’alto e quale eredità m’avrebbe data l’Onnipotente dai luoghi eccelsi? La sventura non è ella per il perverso e le sciagure per quelli che fanno il male? Iddio non vede egli le mie vie? non conta tutti i miei passi? Se ho camminato insieme alla menzogna, se il piede mio s’è affrettato dietro alla frode (Iddio mi pesi con la bilancia giusta e riconoscerà la mia integrità) se i miei passi sono usciti dalla retta via, se il mio cuore è ito dietro ai miei occhi, se qualche sozzura mi s’è attaccata alle mani, ch’io semini e un altro mangi, e quel ch’è cresciuto nei miei campi sia sradicato! Se il mio cuore s’è lasciato sedurre per amor d’una donna, se ho spiato la porta del mio prossimo, che mia moglie giri la macina ad un altro, e che altri abusino di lei! Poiché quella è una scelleratezza, un misfatto punito dai giudici, un fuoco che consuma fino a perdizione, e che avrebbe distrutto fin dalle radici ogni mia fortuna. Se ho disconosciuto il diritto del mio servo e della mia serva, quand’eran meco in lite, che farei quando Iddio si levasse per giudicarmi, e che risponderei quando mi esaminasse? Chi fece me nel seno di mia madre non fece anche lui? non ci ha formati nel seno materno uno stesso Iddio?  Se ho rifiutato ai poveri quel che desideravano, se ho fatto languire gli occhi della vedova, se ho mangiato da solo il mio pezzo di pane senza che l’orfano ne mangiasse la sua parte,  io che fin da giovane l’ho allevato come un padre, io che fin dal seno di mia madre sono stato guida alla vedova, se ho visto uno perire per mancanza di vesti o il povero senza una coperta, se non m’hanno benedetto i suoi fianchi, ed egli non s’è riscaldato colla lana dei miei agnelli, se ho levato la mano contro l’orfano perché mi sapevo sostenuto alla porta… che la mia spalla si stacchi dalla sua giuntura, il mio braccio si spezzi e cada! E invero mi spaventava il castigo di Dio, ed ero trattenuto dalla maestà di lui. Se ho riposto la mia fiducia nell’oro, se all’oro fino ho detto: ‘Tu sei la mia speranza’, se mi son rallegrato che le mie ricchezze fosser grandi e la mia mano avesse molto accumulato, se, contemplando il sole che raggiava e la luna che procedeva lucente nel suo corso, il mio cuore, in segreto, s’è lasciato sedurre e la mia bocca ha posato un bacio sulla mano (misfatto anche questo punito dai giudici ché avrei difatti rinnegato l’Iddio ch’è di sopra), se mi son rallegrato della sciagura del mio nemico ed ho esultato quando gli ha incòlto sventura  (io, che non ho permesso alle mie labbra di peccare chiedendo la sua morte con imprecazione),  se la gente della mia tenda non ha detto: ‘Chi è che non si sia saziato della carne delle sue bestie?’  (lo straniero non passava la notte fuori; le mie porte erano aperte al viandante), se, come fan gli uomini, ho coperto i miei falli celando nel petto la mia iniquità, perché avevo paura della folla e dello sprezzo delle famiglie al punto da starmene queto e non uscir di casa… Oh, avessi pure chi m’ascoltasse!… ecco qua la mia firma! l’Onnipotente mi risponda! Scriva l’avversario mio la sua querela, ed io la porterò attaccata alla mia spalla, me la cingerò come un diadema! Gli renderò conto di tutt’i miei passi, a lui m’appresserò come un principe! Se la mia terra mi grida contro, se tutti i suoi solchi piangono, se ne ho mangiato il frutto senza pagarla, se ho fatto sospirare chi la coltivava, che invece di grano mi nascano spine, invece d’orzo mi crescano zizzanie!» (Giobbe 30:25-31, Giobbe 31:1-40)

Haiaty Varotto

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